Balliamo la cumbia della noia
Canzone vincitrice dell'ultimo Festival di Sanremo, "La noia" di Angelina Mango prende in prestito sonorità e ritmo dalla cumbia, musica colombiana dalla storia lunga e travagliata
La noia è il brano di Angelina Mango che ha vinto il 74esimo Festival di Sanremo. Non senza polemiche, di fronte a una marea dei voti arrivati dal pubblico (60%) al secondo classificato, Geolier, a dispetto del 16% raccolto da Angelina.
Come e perché si sia arrivati a questo risultato non è questo il contesto giusto in cui parlarne, ed è già stato spiegato – fino alla noia, per restare in tema – da diversi giornali. Questo uno dei tanti articoli dedicati al tema.
In sintesi (per i e le più pigre): la sala stampa e le radio hanno dato la maggioranza dei voti a Mango, assicurandole la vittoria. Questo risultato però – a differenza di quello che hanno sostenuto molti utenti indignati negli ultimi giorni – non è stato frutto di un complotto a seguito della vittoria di Geolier nella serata delle cover, poiché Angelina è risultata tra i preferiti di stampa e radio già dalla prima sera, a differenza di Geolier. Della questione – per chi fosse interessato - se ne è parlato in modo approfondito qui. In ogni caso, mettendo da parte le polemiche, mi sento di dire solo: de gustibus.
Tornando a La noia di Angelina Mango, la canzone cita più volte nel suo testo la parola ‘cumbia’: canto e danza popolare di coppia, di origini colombiane, che ha una storia lunga e travagliata alle spalle, e che ho scoperto documentandomi per la scrittura di questa puntata
Non tutti gli studiosi sono d’accordo sull’etimologia della parola ‘cumbia’. Secondo alcuni deriverebbe da ‘cumbiamba’, una danza africana che si ballava a piedi nudi sulla spiaggia attorno a un falò. Il termine ‘Kumb’, inoltre, in molti idiomi del continente africano significa “suono”, “rumore”. Mentre in Colombia, durante l’epoca coloniale spagnola, le piantagioni venivano chiamate “kumbè” per via dei rumori che producevano gli strumenti utilizzati dagli schiavi di origine africana. Le origini della parola restano, però, controverse. Nel 2006 il musicologo colombiano Guillermo Carbó Ronderos dichiarò che la vera origine della parola risiederebbe nel termine bantù ‘cumbè’, un ritmo e danza della Guinea Equatoriale.
In ogni caso, la trasformazione da cumbiamba a cumbia sarebbe da collocare quindi nel periodo post-coloniale. Le zone interessate sono quelle della costa atlantica sudamericana, al di sopra di Panama, dove i villaggi di neri, mulatti e zambos (letteralmente “uomo con le gambe a X”. Nella lingua creola e nelle lingue afroamericane è usato come sinonimo di cafuso, ossia meticcio nato da un genitore nero e una genitrice indigena americana o viceversa) si sostenevano con la pesca nel Mare delle Antille.
Secondo il maestro José Barros (compositore della Piragua, Navidad Negra, etc.), la cumbia nacque nel paese dalla cultura indigena Pocabuy, (che abitava la regione colombiana del Banco Magdalena).
Altri folclorólogos (studiosi del folclore) e musicisti sostengono che la cumbia nacque in altre zone della Colombia: Cienaga Magdalena (vicino a Santa Marta), o in Soledad, Atlantico (vicino a Barranquilla), o ancora a Cartagena, per la vicinanza ai porti dove sbarcarono i conquistatori e i colonizzatori spagnoli.
A prescindere dal luogo esatto di nascita di questa danza, è certo che doveva trattarsi di un posto dove si trovavano neri e indigeni a lavorare a stretto contatto, probabilmente in un punto della Costa Caraibica Colombiana, vicino ai porti di Santa Marta o Cartagena.
La cumbiamba era una sorta di rituale che accompagnava le sere del villaggio, quando le persone si ritrovavano assieme dopo una dura giornata di lavoro. Una delle rare occasioni di socialità e anche di corteggiamento. Il passaggio a cumbia avvenne quando dal ballo in cerchio, tenendosi per mano, si passò alla danza di coppia. Per giungere alla forma che conosciamo oggi sarà necessario attendere l’aggiunta della componente spagnola che introdusse anche la parte cantata, con coro e voce solista, donando a questa danza una musica dalle atmosfere più latino-americane.
Ecco spiegato quindi il carattere trietnico della cumbia, ossia il fatto di essere la somma di tre culture diverse: quella africana, quella indigena americana e quella europea. Dalla nera africana arrivano la struttura ritmica e la percussione (i tamburi), l'indigena ha apportato la melodia grazie all’utilizzo dei flauti (canna di milio e le cornamuse). La bianca ha aggiunto, infine, le variazioni melodiche, coreografiche e l'abbigliamento tipico dei ballerini.
Sono numerosissimi i gruppi dei Caraibi colombiani dove nel corso del tempo si è diffusa la cumbia. Meritano una menzione, tra gli altri, la Cumbia Soledeña, gruppo storico diretto da Efraín Mejía che interpreta la cumbia nel formato originale (ossia con tutta la percussione e i flauti indigeni, in questo caso, la flauta de millo), Los Gaiteros de San Jacinto, e, più di recente, Joe Arroyo, Ceco Acosta, Juan Carlos Coronel, Totó la Momposina e Juventino Ojito e su Son Mocaná.
La cumbia ha sempre avuto anche la parte cantata, prima nelle lingue indigene e poi anche in spagnolo. Per molti anni i conquistatori spagnoli proibirono agli indigeni di cantare nella loro propria lingua e per questo motivo a lungo la cumbia restò solo strumentale.
Durante l’ultimo secolo sono state composte cumbias che hanno riscosso un grandissimo successo in tutta l’America latina e di cui sono state realizzate centinaia di versioni, come La cumbia cienaguera, composta da Esteban Montaño, Luis Enrique Martínez e Andrés Paz, e La pollera colorá di Wilson Choperena e Juan Madera.
Oggi la cumbia è diffusa in tutto il Sud America, dal Perù all’Argentina, dal Messico al Paraguay, con variazioni e caratteristiche peculiari per ogni Paese. Ogni anno, da circa un secolo, questo ritmo viene celebrato nel grande nel Carnevale di Barranquilla, che si svolge nell’omonima città colombiana: una vera e propria esplosione di ritmi misti caraibici, che nel 2003 è diventata Patrimonio dell’umanità Unesco.
La cumbia era già comparsa nella musica italiana nel 2011 grazie ad Adriano Celentano, che cantava La cumbia di chi cambia, un brano scritto da Jovanotti ed estratto dall’album Facciamo finta che sia vero.
Questa è la cumbia, la cumbia di chi cambia
recita la canzone di Celentano.
Il valore aggiunto della canzone della cantante di Lagonegro sta nell’aver unito un suono ritmico e vivace come quello della cumbia alla sensazione della noia, che si trasforma così in una celebrazione del – nostro tanto amato – dolce far niente.
Il testo di Mango punta infatti a ribaltare il senso comune della noia, che viene generalmente vista come una sensazione fastidiosa da combattere. La cantante invita invece le persone ad accogliere e festeggiare la noia, ballando sulle note della cumbia.
Spesso i momenti tristi sono il seme, il preludio a una nuova felicità, il buio prima della luce. Non si deve aver paura della noia: va accolta, è importante, così come tutti i sentimenti che ci portano giù, in fondo. C’è una risalita, sempre. La noia non va combattuta: è tempo prezioso da dedicare a noi stessi. E nei momenti difficili, bisogna ballarci sopra
ha detto Angelina Mango in un’intervista a Radio Deejay.
In un mondo che sembra bollare la noia come il male, in cui fermarsi e non fare letteralmente niente per cinque minuti è considerato un peccato imperdonabile, dovremmo allora riscoprire il potere catartico della noia, ballando sulle note della cumbia e lasciando che i brutti pensieri, lo stress e le ansie scivolino via a passo di danza
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Per oggi è tutto.
👋🏻 Questa newsletter torna, come sempre, tra due settimane.
Vi auguro di riscoprire il piacere della noia. E se proprio non riuscite ad annoiarvi, per lo meno ballateci su con la cumbia!