Perché gli expat dovrebbero tornare in Italia?
Il Governo vuole limitare le agevolazioni fiscali per chi rientra in Italia. Una misura miope che potrebbe convincere gli expat a non tornare mai più
Tra i provvedimenti della Manovra già approvati in via preliminare dal Cdm, ce n’è uno che sta facendo discutere molto: la stretta sulla fiscalità favorevole per chi vuole rientrare in Italia.
Dal 2024, se la misura verrà approvata in via definitiva, cambieranno infatti le attuali agevolazioni e bonus previste per chi vuole rimpatriare, sostituiti da un nuovo regime di incentivi, che prevedono un’importante limitazione ai requisiti di accesso. A essere esentati da queste modifiche sarebbero solo i ricercatori e docenti universitari.
La misura che riguarda il cosiddetto “Rientro dei cervelli” prevede diverse novità.
Ecco le più importanti:
I beneficiari (dipendenti e autonomi) non saranno più i lavoratori con 2 anni passati all’estero, ma tutti i lavoratori con elevata specializzazione che hanno vissuto almeno tre anni all’estero
La detassazione passa dal 70% (90% per chi decideva di rientrare in Italia e trasferirsi al Sud e per professori e ricercatori universitari) sull’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) al 50% fino a redditi annui inferiori a 600 mila euro
La durata delle agevolazioni passa da 5 anni con proroga di ulteriori 5 anni a soli 5 anni
Come requisiti, la residenza all’estero passa da 2 a 3 periodi di imposta precedenti, mentre l’impegno a rimanere in Italia passa da 2 ai 5 anni successivi. A questo si aggiunge l’obbligo a ritornare in Italia, lavorando in un’azienda diversa da quella per cui si lavorava all’estero
Il Governo sostiene di essere stato costretto a inserire questa misura per colpa dei soliti ‘furbetti’ che se ne approfittavano e per i costi molto elevati per l’Erario. Nel rapporto sulle spese fiscali relativo allo scorso anno, si legge che questo strumento è costato 674 milioni di euro e a utilizzarlo sono stati circa 15mila expat. Questi ultimi hanno goduto di una media di circa 45mila euro di tasse non versate al Fisco. Uno sconto sicuramente importante.
Uno studio pubblicato a giugno scorso dall’economista Giuseppe Ippedico su Lavoce.info mostra però come il rientro di accademici e lavoratori incentivato dalle agevolazioni fiscali compensi sostanzialmente le minori entrate derivate dalle esenzioni. I rimpatriati, quindi, pagano sì meno tasse, ma il fatto stesso che rientrino in Italia e le paghino qui anziché all’estero costituisce un valore aggiunto, che garantisce un certo contributo al gettito.
Inoltre, come spiega questo articolo dell’Osservatorio per i conti pubblici italiani, l’esodo di così tanti italiani verso l’estero sarebbe solo in parte legato a ragioni fiscali. Se l’Italia è il Paese che tra il 2002 e il 2016 ha avuto il più significativo fenomeno di emigrazione dei ricercatori universitari, il motivo risiede soprattutto nell’“instabilità dei posti di lavoro rispetto all’estero, con minori possibilità di contratti indeterminati nelle varie posizioni di carriera” e al fatto che il “sistema universitario nazionale è considerato come poco trasparente e non basato sul merito”.
Fonti del ministero dell’Economia dichiarano di voler introdurre un periodo di transizione durante il quale gli sgravi finora in vigore, più elevati, sarebbero riconosciuti a chi decide di riportare la propria residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre del 2023, così da evitare un effetto retroattivo della norma. Nella norma approvata dal Governo c’è un aspetto che complica il quadro della situazione. Per far sì che il trasferimento sia valido, infatti, la nuova residenza in Italia deve essere attiva da almeno 183 giorni: in questo modo, chi è tornato in Italia dopo il 3 luglio si vedrà comunque applicati i nuovi regimi fiscali, con effetto retroattivo.
“Penso che le modifiche che verranno introdotte non favoriranno il rientro degli italiani all’estero”, mi scrive Walter, 29 anni, da Parigi. “Considerando che già ora è difficile riuscire a trovare un lavoro in Italia con una RAL che giustifichi il ritorno in patria. Tuttavia per alcuni ruoli si riusciva a compensare quel gap proprio grazie alle agevolazioni fiscali. Parlando con altri amici italiani che vivono e lavorano all’estero, mi sembra di capire che molti non hanno intenzione di tornare, non solo a causa delle retribuzioni, ma anche per via degli ambienti di lavoro tossici, che spesso ti rovinano la salute. Io personalmente a meno di 30 anni - continua - ho un lavoro come quadro full remote, 40 giorni di ferie all’anno, rimborso 100% delle utenze per internet e 50% dell’abbonamento per i mezzi pubblici. Non sarei mai tornato in Italia per guadagnare di meno e lavorare di più con le agevolazioni fino al 90% al Sud, figuriamoci ora…”
Non solo Walter: sono migliaia gli italiani e le italiane all’estero che avevano intenzione di tornare a breve in Italia e che hanno espresso profonda preoccupazione per le nuove norme. Sono nati così gruppi WhatsApp come Rientro Italia o Domande su casi specifici, a cui, in pochi giorni, si sono iscritte più di duemila persone. Giovani, coppie, famiglie: tutte persone diverse accomunate dalla decisione di lasciare il nostro Paese alla ricerca di un futuro migliore all’estero.
Le loro istanze sono confluite anche in una petizione, che, ad oggi, ha raccolto oltre 7 mila 500 firme.
Il problema dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’ (termine orribile, che è però tanto caro ai media e alla politica) è particolarmente sentito in Italia, che è uno dei Paesi UE con il maggior numero di giovani laureati e ricercatori espatriati. Secondo un recente rapporto della fondazione Migrantes, che cita dati dell’AIRE (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero), sono 5,8 milioni le persone italiane residenti all’estero.
I dati ISTAT aggiornati a febbraio scorso ci dicono che nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021 gli italiani espatriati sono stati più di 1 milione. In media più di 100mila persone all’anno. Il fenomeno sembra stia subendo una leggera inversione di tendenza solo negli ultimi anni, dopo il trauma della pandemia di Covid-19. Nel 2021 a espatriare sono stati il 22% di italiani in meno rispetto ai circa 121mila del 2020. Si tratta però comunque di 94.219 persone che hanno lasciato l’Italia in un solo anno.
Sempre il rapporto dell’ISTAT mostra la composizione degli expat è costituita soprattuto da giovani molto formati: “Ha un’età compresa tra 25 e 34 anni un emigrato italiano su tre: in totale 31mila di cui oltre 14mila hanno una laurea o un titolo superiore alla laurea”.
Inoltre, il saldo migratorio dei laureati (ovvero la differenza tra espatriati e rimpatriati) è fortemente negativo, a testimonianza del fatto che la maggior parte degli expat non torna. Nel corso del decennio 2012-2021, infatti, sono stati 120mila gli italiani con una laurea andati all’estero, mentre i laureati tornati in Italia sono stati poco più di 41mila: “La differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 79mila giovani laureati”.
“Prima ancora di essere tornati, il nostro Paese ci ha già ricordato perché eravamo partiti”, hanno detto al Corriere Simone e Celeste, una giovane coppia di italiani espatriati, che aveva acceso il mutuo per la nuova casa in Italia nello stesso giorno in cui il Cdm ha dato l’ok alla modifica.
Insomma, il Governo del Made in Italy dice di voler incentivare i giovani a restare in Italia, ma se queste modifiche verranno confermate, i giovani il Bel Paese non solo continueranno a lasciarlo, ma non ci torneranno più.
Nel tempo libero









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“La mia vita in quest’ultimo anno è stato un susseguirsi di peripezie: sono stato partigiano per tutto questo tempo, sono passato attraverso una inenarrabile serie di pericoli e di disagi, ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato più volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di più”
Italo Calvino, Lettera a Eugenio Scalfari, 1945
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